mauro zorer
rovereto, 1969
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il corpo che non abito, 2021Si nasce davvero nel momento in cui la carne materna apre il suo taglio e ci lascia andare? Può bastare quella spinta verso la luce e lo strazio del primo respiro? L’officina della carne fabbrica corpi senza garantire vita, occorre altro per dirsi nati e imparare il fiato delle creature. Il corpo raccontato in questi scatti è un referente scomposto, in origine, quasi ridotto in frantumi dallo stridere della vita apparente contro l’attesa del suo reale inizio. Attraverso le foto il corpo si offre alla vista, smette di indossare le vesti di una dolorosa invisibilità. Le vene e i muscoli – tesi o abbandonati – sono la sua unica geografia. Non esiste altro spazio che il perimetro tracciato dalla pelle, per chi non è nato: a quel corpo non è offerta una zona abitabile, ma un perenne non-luogo che fa di lui un irrimediabile punctum, direbbe Barthes. Tanto più doloroso quanto più universale e condiviso. La violenta de-composizione della nascita biologica, attraverso un’esplorazione che replica l’evidenza del parto, approderà alla composizione, all’unità: la nascita come punto di arrivo. Perché serve molta vita per poter nascere davvero. m.z.
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