gaia vettori
firenze, 1985
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tzimtzum, 2020una raccolta di foto scattate in circa due anni, prevalentemente con il telefono cellulare, dall’alto, con schiacciamento prospettico, e tendenzialmente caratterizzate da un’assenza di centro. Tale mancanza si configura come un rifiuto di una narrazione lineare e permette l’accesso a un momento privilegiato in cui tutto si è contratto, ritratto, fatto piccolo per fare spazio ad altro: tzimtzum è del resto una parola ebraica - usata nell’ambito della Cabala - riferita a quel momento in cui dio ha “trattenuto il fiato”, contraendo la sua infinita luce per permettere che si producesse lo spazio dell’universo. è una ritrazione, un’interiorizzazione assoluta e totalizzante, accento posto su di una storia dell’umanità marcata dal segno di un’insicurezza radicale, senza centro, appunto. è il momento di un temporaneo esilio di dio, rinchiuso nel suo mistero prima della genesi. Con questo lavoro, prendo spunto da un’esperienza personale e negativa, per abbracciare una sofferenza ampia ed ecumenica, marcata dall’insicurezza radicale. g.v.
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